La prossima settimana comincerò due nuovi percorsi pedagogici. Con due bambini, o meglio, ragazzini, che hanno appena concluso la classe 5^ primaria e stanno per iniziare l'esperienza (scolastica e di vita) della scuola secondaria di 1° grado. Entrambi presentano Disturbi Specifici dell'Apprendimento.
Eppure sono due ragazzini completamente diversi tra loro, per le caratteristiche dei loro disturbi, per la loro personalità, per la storia che si portano dietro. Una storia che ho iniziato a conoscere in questi giorni, attraverso le relazioni e le diagnosi dei colleghi, attraverso la conoscenza e il primo colloquio con la famiglia, attraverso i primi timidi sguardi (alcuni sfuggenti), che ho scambiato con loro.
Sono due personcine uniche che mi faranno piano piano entrare nel loro piccolo grande mondo, e che mi impegnerò ad accompagnare in questi mesi delicati di crescita.
Ogni persona, ogni storia, con la quale come professionista vengo a contatto, richiede impegno, saperi, esperienza e... creatività.
Quest'ultima è di solito meno nominata, quando si parla di professioni d'aiuto.
Eppure Creatività è una bellissima parola: ci parla di creazione, in particolare il creare con l’intelletto. È fondamentale nell’arte, ma non solo, anzi! Mi permetto di affermare che nel momento stesso in cui si agisce in modo creativo si produce qualcosa di artistico. Anche se si tratta di risolvere un problema, rielaborare un’informazione, trovare una nuova strategia, svolgere i compiti scolastici. Per dirla con Bruno Munari, la creatività “combina fantasia e invenzione per produrre qualcosa di funzionante e realizzabile”, ma per essere creativi è fondamentale avere un atteggiamento flessibile e una mente aperta alla modifica, disponibile al cambiamento. Ovvero avere una delle risorse più importanti che dovrebbe possedere chi segue soggetti con DSA: per far fronte a problemi sempre nuovi rispettando l’unicità di chi ha di fronte. Ma creativa è anche la mente di chi convive con un disturbo dell’apprendimento, una mente creatrice di strategie sempre nuove per destreggiarsi tra le sfide di una quotidianità tarata su misure altre. La definizione di creatività che elabora Gianni Rodari è una delle mie preferite, perché la accosta al pensiero divergente, “capace di rompere continuamente gli schemi dell’esperienza”.[1] Oggi è più che mai necessario coltivare questo talento tutti quanti, adulti e bambini/e, con o senza disturbi dell’apprendimento, perché di fronte ad una realtà sempre più complessa, possiamo imparare a vedere i diversi mondi del possibile, per non venire schiacciati dalla complessità, ma diventare capaci di agire sulla realtà, modificandola. Insomma, la creatività così intesa diventa una life skill, una “tipologia di pensiero utile per trovare alternative possibili, avere idee originali nella ricerca di soluzioni, contrastare lo stress in condizioni apparentemente senza via d’uscita”.[2]
La relazione con chi, come pedagogisti e tutor dell’apprendimento, prendiamo in carico, è di per sé complessa, prima di tutto perché come ogni relazione significativa attua un cambiamento in entrambi gli attori, e poi perché per quanto possiamo avere dalla nostra saperi e competenze, non esisterà mai un manuale, un sapere universale, che ci permetta di avere sottomano la soluzione per ogni situazione che ci pone chi abbiamo di fronte, ovvero una persona unica e complessa, portatrice di una storia e di un bagaglio anche emotivo, del quale non possiamo dimenticarci nel nostro lavoro.
Porsi nei confronti di chi abbiamo di fronte con creatività, significa accogliere con mente aperta e libera da preconcetti, essere curiosi e desiderosi di apprendere noi stessi, essere disponibili a cambiare strategia quando non funziona (ma anche quando l’obiettivo viene raggiunto a costo di grande spreco di tempo e/o risorse cognitive) e ad accettare le proposte originali che possono derivare dal soggetto stesso. Significa essere in grado di mettere ordine nelle divergenze di pensiero di chi abbiamo di fronte e nella marea delle possibili soluzioni che ci si presentano. Significa essere in grado di adattare il nostro modo di porci con i diversi interlocutori coi quali ci troviamo ad avere a che fare nel momento in cui iniziamo un percorso educativo con un bambino (genitori, insegnanti, altri specialisti ecc.).
Significa infine anche accogliere gli errori, i nostri e quelli di chi abbiamo di fronte, consapevoli che l’errore è indispensabile nel processo di apprendimento, che da esso si può ricominciare, e con più consapevolezza, perché ogni errore ci indica possibili strade nuove da percorrere.
Magari divergenti.
Magari uniche.
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